Natale, muratore infortunato. La sua storia su Repubblica Firenze

Il racconto: Natale Moscato, 56 anni, muratore, arrivato a Firenze nel 1989 da Reggio Calabria per trovare un lavoro.
Una vita sulle impalcature, è seguito dalla Fillea Cgil fiorentina. “Dopo l’incidente che se ne fanno di uno come me? Non sto più in piedi, non posso lavorare”
(articolo uscito su Repubblica Firenze il 27-4-2018, a firma di Ilaria Ciuti)
 «E meno male che sotto c’è rimasto il piede e non io per intero», dice Natale Moscato che assomiglia a Giobbe nell’ingoiare le disgrazie. Faceva il muratore, ha avuto, non uno, ma due incidenti sul lavoro, per colmo di ironia questa è anche la ragione per cui è stato licenziato e, a 56 anni, cerca un nuovo lavoro che non esiga prestanza fisica: «Per avere i contributi e guadagnarmi la pensione a 67 anni: sono tanti gli anni ancora da aspettare. Ma non trovano lavoro i giovani… figuriamoci io, e poi li vogliono tutti diplomati: io ho fatto la quinta elementare».
Non impreca e non usa termini forti: «Diciamo che gli incidenti mi hanno cambiato la vita non in bene». È stato un attimo: «Nel 2012 stavo issando l’escavatorino sul camion, si è ribaltato e io con lui. Il piede è rimasto incastrato e si è tutto rovinato». Solo che quello stesso piede si era già “rovinato” nel 1994: «Lavoravo su un ponteggio e si è spaccato un asse, sono volato giù rompendomi tibia, perone e calcagno». Stessi tibia, perone e calcagno del 2012, solo che questa volta non si sono accomodati più e hanno finito per guastare anche la circolazione. «Mi hanno detto che non si poteva più operare, allora sono tornato a lavorare nonostante il dolore, poi era sempre peggio e nel 2017 sono andato a Careggi, le vene erano bloccate, me ne hanno tolte due e messi altrettanti bypass per la circolazione. Non sono potuto tornare sul cantiere per un anno, il 10 aprile sono stato licenziato».
Arrivato da Reggio Calabria a Firenze per lavorare nel 1989, Moscato non è neanche tanto stupito della maledetta coincidenza del bis del piede, come se la fragilità del corpo e i capricci del destino fossero messi nel conto del muratore. Il termine tecnico è licenziamento per superamento dei limiti di conservazione del posto di lavoro a causa malattia. «Mi è dispiaciuto, era tanto che facevo questo lavoro. È dispiaciuto anche a loro, non era una cattiva azienda, c’era lavoro, c’era il tempo indeterminato. Ma dove lo metti in un cantiere uno che non sta in piedi? Ora mi sta aiutando il patronato della Cgil a entrare in Naspo (la vecchia disoccupazione) e a ottenere il sussidio di invalidità. Ma devo arrivare a trovare un altro lavoro per avere i contributi: non facile». Non facile neanche vivere: a Montemurlo con tutta la famiglia, 9 persone in 110 metri quadri, pochi soldi.
«Lavoriamo solo io e mia moglie, anzi io lavoravo. Lei fa la spazzina o, come si dice ora, l’operatrice ecologica. Il figliolo ha appena cominciato a fare il meccanico, la figlia, mamma di tre bambini, e il marito si erano messi in proprio ma non ce l’hanno fatta e sono a casa. Si tira la cinghia, non usciamo mai, divertimenti niente, la pizza, se la vogliamo, ce la facciamo a casa con 50 centesimi di farina».
Nel ’94, dice, era peggio, le regole e i controlli sulla sicurezza erano meno. «Ma gli incidenti continuano e non si può pensare che uno muoia per lavorare. Ci vogliono più controlli e attenzione: delle ditte ma anche di noi operai.
Basterebbe che ogni mattina, invece di mandare subito un operaio a lavorare, ditta e operai controllassero se tutto è a posto: ponteggi, macchine, muri a cui lavorare. Invece si va tutti di furia. Le aziende perché nell’edilizia la crisi ha fatto mancare il lavoro e, pur di compensare i costi abbassati per restare sul mercato, accorciano i tempi. Gli operai, pur di conservare un lavoro che fuori non si trova più. Inoltre, i giovani non si ribellano perché sono precari, i vecchi pur di arrivare alla pensione.
Dobbiamo fare più attenzione: noi e le ditte». Già, la pensione.
«Io l’avevo sentita arrivare la stanchezza. Devi salire fino a arrivare a 67 anni sui tetti al freddo e al caldo, ma a 55 sei già sei stanco. Se il sole scotta, alle una non ce la fai più, la testa gira, sei stanco e più distratto: se non hai le forze, fai il passo falso».
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