Alternanza: la “guida” della Cgil e la storia di Irene su Repubblica Firenze

Alternanza scuola lavoro, a seguire due articoli di Valeria Strambi usciti su Repubblica Firenze di oggi. Uno sulla guida lanciata dalla Cgil, l’altro su una storia di alternanza anomala

Alternanza scuola-lavoro, una guida della Cgil fiorentina per sancire i “diritti” degli studenti. Per i ragazzi è una opportunità ma esiste il rischio che vengano usati per colmare i vuoti di personale
L’alternanza non è lavoro, non è un percorso di apprendistato, non è volontariato o servizio civile. E non va confusa neppure con i tirocini. Dalla Cgil di Firenze arriva una guida per sfatare i miti che circolano su quella che è ormai diventata passaggio obbligatorio per tutti gli studenti delle superiori. Che frequentino istituti tecnici, professionali oppure licei, le ragazze e i ragazzi di terza, quarta e quinta devono trascorrere un periodo in azienda. Ed è qui che si innescano i comportamenti più diversi: « L’alternanza può rappresentare una grande opportunità per gli studenti, ma purtroppo c’è chi se ne approfitta – afferma Gianluca Lacoppola della Cgil di Firenze – In estate il rischio che gli studenti vengano usati per sopperire alla riduzione del personale o per i lavori legati al turismo (dagli alberghi alla ristorazione ai Bed& Breakfast) è sicuramente più grande. Per questo abbiamo pensato di creare uno strumento pratico nel quale fosse scritto nero su bianco che cosa si può e che cosa non si può fare».
La guida, che verrà distribuita a partire da domani in tutte le aziende di Firenze e provincia e che sarà anche pubblicata online, si divide in tre parti e serve a ricordare quali sono i metodi corretti da adottare nei confronti dei ragazzi mandati dalle scuole. Destinatari sono i rappresentanti sindacali interni alle imprese: « I nostri delegati sui luoghi di lavoro potranno così diventare un’ulteriore sentinella per intervenire sui casi di alternanza che non funzionano – spiega Lacoppola – solo con una corretta formazione e con una maggiore consapevolezza si possono evitare storture e casi di sfruttamento » . Dopo aver definito che cosa non è l’alternanza, si passa a spiegare cosa è o dovrebbe essere, vale a dire « parte integrante del percorso di studi, un’opportunità per accrescere saperi e competenze e un modo per imparare a orientarsi » . Ma che cosa ci deve essere in un percorso di alternanza? Non può mancare « una convenzione tra scuola e azienda, la firma degli studenti e una corretta copertura assicurativa Inail».
La guida, nelle intenzioni della Cgil, dovrebbe anche servire da input per diffondere la cultura del diritto: « Suggeriamo che nei percorsi di alternanza siano previsti moduli di formazione specifici – annuncia Lacoppola – per esempio ulteriori lezioni sulla sicurezza sul lavoro, istruzioni su come preparare un curriculum, elementi sul contratto collettivo nazionale del lavoro e diritti sindacali». La terza parte della guida prevede infine un ruolo ancora più attivo dei delegati sindacali, i quali possono chiedere di esercitare funzioni di controllo, segnalando gli elementi positivi e le criticità: «Fondamentale è che il tutor aziendale comunichi i nominativi degli studenti ospitati in alternanza, la data di arrivo e i giorni di presenza, la postazione e gli orari assegnati, oltre a rendere consultabile la convenzione stipulata con la scuola. Solo così potrà esserci quello che oggi manca, e cioè un controllo sul campo che garantisca maggiore tutela agli studenti».
Continua intanto l’attività della Cgil di Firenze in collaborazione con la Rete degli Studenti Medi. Lo scorso maggio è stato attivato uno sportello online e una pagina Facebook ” L’alternanza che vogliamo” attraverso la quale i ragazzi possono segnalare le proprie esperienze. Anna, 16 anni, ha raccontato di aver scelto un’azienda per imparare i segreti dell’alta moda ma di essersi ritrovata ad assemblare scatole. Paolo, 17 anni, ha trascorso giornate intere a fare fotocopie in uno studio medico e Laura, 15 anni, si è dovuta improvvisare guida turistica in orari che le venivano comunicati all’ultimo momento.

“Turni massacranti e lavapiatti e se mi fermavo venivo sgridata”. Irene ha trascorso trenta giorni in un ristorante fiorentino ma invece di imparare è stata utilizzata come una dipendente
«Ho iniziato la mia avventura con il sogno di imparare come si diventa chef e mi sono ritrovata a sostituire il lavapiatti per una settimana e a lavorare tutti i sabati e le domeniche con turni di otto ore consecutive fino alle 23 e con un massimo di 10 minuti di pausa». Irene frequenta la quarta superiore di un istituto alberghiero di Firenze e così racconta i suoi trenta giorni trascorsi a fare alternanza in un ristorante della città. «A scuola ci hanno dato la possibilità di scegliere l’attività che più ci attirava da un lungo elenco di opzioni — spiega Irene — ero molto emozionata perché, insieme ad altri due compagni di classe, sono stata accontentata».
Eppure l’entusiasmo è durato il tempo di varcare la porta del locale: «Non appena arrivati il proprietario, che era anche il nostro tutor, ci ha spiegato un paio di cose e poi ci ha messi subito all’opera. Lì per lì mi è sembrata una cosa eccezionale, visto che avevo sentito molti altri studenti lamentarsi di non aver fatto niente durante il proprio percorso di alternanza.
Peccato che, nel giro di tre giorni, siamo diventati lavoratori a tutti gli effetti, con turni anche oltre le otto ore al giorno che ci venivano comunicati di settimana in settimana, senza alcuna possibilità di scegliere il giorno libero».
Irene, come tutti gli altri dipendenti del ristorante, doveva entrare alle 8 e uscire alle 16 o entrare alle 15 e trattenersi fino alle 23: «Il professore, a scuola, ci aveva detto che secondo la convenzione stipulata con il locale nessuno di noi avrebbe dovuto lavorare più di otto ore al giorno e che gli studenti minorenni non potevano prestare servizio dopo le 22 — ricorda — peccato che poi ci ha fatto intendere e ci ha addirittura consigliato di chiudere un occhio e di fare quello che il datore di lavoro ci avrebbe chiesto».
Il momento più frustrante, per Irene, è stato quando il proprietario l’ha spostata a lavare i piatti: «Non mi lamento della tipologia di lavoro, ma del fatto che mi hanno utilizzato per sostituire un dipendente.
Anziché chiamare un’altra persona, che però avrebbe dovuto essere pagata, hanno preferito avere manodopera a costo zero».
Irene racconta di ritmi insostenibili: «Se mi fermavo più di dieci minuti veniva il titolare a sgridarmi e a dirmi di tornare a lavoro». Nessuno ha fatto un corso sulla sicurezza ai ragazzi, che spiegano di essere stati informati su cosa poteva o meno essere pericoloso di volta in volta e solo se si presentava l’occasione. Per molti studenti è talmente normale essere trattati così che non colgono quanto sia scorretto ciò che viene loro proposto: «Ho parlato di questa situazione ad altri compagni, ma mi è stato risposto che l’ambiente di lavoro funziona così — specifica Irene — peccato che io credevo di venire qua a imparare, a osservare e a vedere come funziona un ristorante, non certo a tappare i buchi».
Al termine dell’esperienza, i ragazzi avranno comunque modo di raccontare il percorso di alternanza. Finalmente l’opportunità per segnalare che cosa non funziona? «Non è detto — replica scoraggiata Irene — non so se a noi sarà data la parola, visto che per il momento non ci hanno consegnato nessun modulo da compilare. Quel che so per certo è che l’azienda in cui abbiamo fatto alternanza, in questo caso il ristorante, dovrà darci un voto o per lo meno un feedback che andrà ad intaccare il giudizio che riceveremo all’esame di maturità del prossimo anno».

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